segunda-feira, 12 de janeiro de 2015

Il fegato si sveglia di notte - Raffaella Procenzano



Anche i nostri organi sanno che ore sono. E se perdono il tempo sono guai. 

Sono quasi le sette di mattina. In attesa dell'inizio della giornata, l'organismo è pronto: in circolo nel sangue si trova giá una buona dose di cortisolo, l'ormone che ci rende più reattivi agli stimoli. Le 20, ora di cena. L'acidità gastrica aumenta anche se nello stomaco non è ancora sceso nulla. Eppure tutto è stato preparato per ricevere il cibo. Non c'è dubbio, le cellule sanno che ore sono. E gli scienziati hanno cominciato a capire come fanno.

Cronometri cellulari

Da qualche decennio, ormai, è noto che l'organismo umano funziona secondo ritmi dettati dall'orologio biologico, ma ora si è fatta una nuova scoperta: gli orologi che regolano il comportamento della "macchina uomo" si trovano praticamente all'interno di ogni organi. E il tempo è racchiuso nei geni. Anzi, nei "cronogeni", parti del Dna che si mettono a funzionare solo a una data della giornata.

"Si calcola che il 20 per cento circa del nostro patrimonio genetico funzioni in modo ciclico", dice Roberto Manfredini, cronobiologo clinico all'Università di Ferrara. "Noi di solito immaginiamo che i geni siano sempre attivi, o magari che funzionino solo in alcune fasi della nostra vista (l'infanzia per esempio), ma in continuazione. Non è così: scopriamo di continuo nuovi geni che "si riposano" di notte, o al contrario che si svegliano al tramonto per "riaddormentarsi" verso l'alba". I cronogeni sono il motore degli orologi periferici presenti negli organi. Sono loro a dettare il ritmo del lavoro giornaliero delle cellule. Nel fegato, per esempio, gli zuccheri vengono disgregati soprattutto la mattina, mentre il cuore usa più acidi grassi (che forniscono energia) nell'ultimo tratto della notte rispetto ad altri momenti della giornata, in attesa della maggiore attività prevista al risveglio.

Tutto il sistema fa sì che il nostro organismo segua ritmi ben precisi. Niente a che vedere però con i cosiddetti "bioritmi", i cambiamenti ciclici nell'umore e nell'efficienza fisica teorizzati all'inizio del Novecento e diventati popolari alcuni anni fa. I bioritmi non hanno nessun fondamento scientifico (un po' come gli oroscopi) inoltre seguono un andamento di circa un mese, mentre le cellule dell'organismo modulano realmente la loro attività, ma a livello giornaliero. I veri ritmi biologici, infatti, sono quasi tutti circadiani (ovvero durano più o meno 24 ore).

Il più sincronizzato sopravvive

Gli orologi cellulari hanno uno scopo: far raggiungere all'organismo il massimo dell'attività nel momento in cui ha a disposizione più cibo. Per questo si trovano in tutti gli esseri viventi. E da miliardi di anni. Gli scienziati ritengono infatti che alcuni tra i più antichi organismi, i cianobatteri, avessero già sviluppato una sorta di orologio biologico. I loro attuali discendenti, infatti, possiedono cronogeni che ne rendono ritmica l'attività.

Del resto, gli orologi biologici si sono evoluti perché sono utili alla sopravvivenza. Lo ha dimostrato Carl Johnson della Vanderbilt University (Nashville, Usa) mettendo alcuni ceppi di cianobatteri mutati (alcuni avevano un ciclo di riproduzione di 22 ore, altri di 28, altri di 30) in competizione tra loro e con il microorganismo "naturale" (che ha un ritmo di circa 25 ore). Il ricercatore, poi, esponeva le cellule a "giornate" (cadenzate dall'alternanza luce-buio) di durata variabile. A sopravvivere soppiantando gli altri era sempre il ceppo che aveva il ciclo vitale più vicino all'alternarsi di luce e buio programmato dai ricercatori. Johnson aveva anche introdotto, tra gli altri, un ceppo aritmico (non si riproduceva con regolarità) che veniva sempre "sconfitto" dagli altri.

Secondo una teoria, l'orologio biologico si sarebbe evoluto come difesa dalla potenza dei raggi ultravioletti che, senza lo strato di ozono presente oggi, 4 miliardi di anni fa colpivano direttamente la superficie terrestre. Lo indica uno studio condotto su alcuni batteri considerati molto arcaici e che vivono all'interno di sorgenti vulcaniche bollenti: questi microorganismi sintetizzano il loro Dna, per potersi riprodurre, soltanto alla mattina presto e al tramonto, quando la forza dei raggi UV è minore. Le radiazioni possono infatti disgregare i legami biochimici, vanificando il lavoro della cellula. 

Il bello della puntualità

Essere creature cicliche, in effetti, dà molti vantaggi. "Il metabolismo di ogni cellula è molto complesso ed è in parte diverso da organo a organo. Per star bene (vale a dire quando l'organismo funziona in modo ottimale) occorre che tutto "giri" a meraviglia" spiega Roberto Tarquini, docente di Medicina interna all'Università di Firenze. Bisogna che le cellule siano sempre pronte per ciò che sta per accadere: arriva più glucosio (per esempio dopo un pasto)? La cellula deve contenere più sostanze del solito, quelle necessarie a utilizzarlo, e così via...

Ogni organo (e i geni che ne controllano il funzionamento) deve sapere insomma che ore sono per poter funzionare al meglio e "prepararsi" alla rourtine del metabolismo. Lo dimostra il fatto che quando qualcuno di questi orologi perde la sincronia compaiono malattie provocate dall'accumulo nelle cellule di certe sostanze al momento sbagliato (il diabete di tipo 2, per esempio, è caratterizzato da una mancanza di sincronia tra l'orologia centrale e quelli collocati nel fegato, nel pancreas e nel tessuto adiposo).

Ma come avviene questa sincronizzazione? "Come faccia esattamente l'orologio centrale, che si trova nell'ipotalamo, a mettere al posto giusto le "lancette" degli orologi periferici è ancora oggetto di indagine", precisa Manlio Vinciguerra, professore associato allo University College di Londra. "Di certo agisce attraverso parecchi neurotrasmettitori che si dirigono verso gli organi bersaglio (e i loro orologi) seguendo i collegamenti del sistema nervoso autonomo. Si sa però che alcuni segnali viaggino anche nel circolo sanguigno".

Una cosa è certa: quando le cellule di parecchi organi vengono separate dal corpo e coltivate "in vitro", i cronogeni continuano a funzionare in modo ritmico, anche se dopo un po' di tempo (diverso a seconda del tipo di cellula) cominciano a seguire ritmi leggermente discordi da quelli che rispettavano all'interno dell'organismo. "Ciò non soltanto dimostra l'esistenza degli orologi periferici, ma prova che possiedono un certo grado di autonomia. Anche perché a stimolare il loro comportamento non è solo l'alternanza luce/buio, ma per esempio la frequenza dei pasti, o la loro composizione", aggiunge Manfredini.

Pancia al comando

Un esperimento condotto su ratti privati dell'orologio centrale, ha dimostrato che, se si dava loro il cibo in un orario insolito, in breve il metabolismo del fegato e la produzione di altre sostanze connesse con la digestione si adeguavano. Cominciavano a prepararsi all'arrivo dei nutrienti secondo i nuovi orari decisi dai ricercatori.

Nel fegato, insomma, come in molti altri organi, le oscillazioni dei cronogeni rispondono anche all'ambiente, perfino se manca l'orologio centrale.

"È stata anche ipotizzata l'esistenza di un altro "orologio biologico centrale", il cosiddetto Feo (Food entrainable oscillator), il circuito che governa l'alternanza fame/sazietà e che è reso ritmico dalla frequenza dei pasti", nota Manfredini. E che spiega perché non bisognerebbe mangiare di notte: la quantità di leptina, l'ormone della sazietà, di notte scarseggia, spingendoci a mangiare troppo. "Ricerche recenti hanno dimostrato inoltre che i grassi, se ingeriti la sera, tendono a sfasare gli orologi periferici legati alla digestione, dando alla lunga problemi al metabolismo. Ecco perché bisognerebbe cenare leggero, meglio entro le 21.00", continua.

Non solo: i topi costretti a vivere in modo "sfasato" invecchiano prima. "Tra le ragioni per cui la ricerca è puntata sugli orologi biologici ci sono gli studi sulla rigenerazione delle cellule e sull'invecchiamento. Conoscerne i meccanismi potrebbe aiutarci a ritardare l'arrivo della vecchiaia o a migliorarne la qualità", conclude Vinciguerra. "Esiste una banca dati (Circadie) dove è racchiusa tutta la conoscenza sui cronogeni e sulle proteine che hanno influenza sui vari orologi. Ogni équipe di ricerca aggiunge lì il suo tassello". E, chissà, qualcuno di questi ingranaggi potrebbe aiutare in futuro il nostro orologio biologico a farci vivere più a lungo.



(testo pubblicato sulla rivista Focus nº 265 - novembre 2014)




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