segunda-feira, 22 de maio de 2017

Quando anche le stelle si inchinano al Volo - Valeria Bosch (Patrizia Ciava - Italia ri-unita)



Shakespeare diceva che non vi è mondo al di fuori delle mura di Verona (“there is no world outside Verona walls”, Romeo and Juliet, atto III, scena III) e sebbene per me, veronese di antica generazione, sia sempre stato così, mai è stato vero come oggi 19 maggio 2017: infatti è concentrato qui, in Verona, anzi nella sua antica Arena, il mondo che stasera voglio sia mio, il mondo di cui voglio godere, che voglio assaporare e centellinare!

Da oltre due anni seguo e amo la musica di tre giovani che per assurdo potrei arrivare a dire mi sono ormai quasi più familiari dei miei stessi figli, in quanto ogni giorno mi informo sui loro spostamenti, sui loro concerti, ogni giorno ascolto il loro canto, gioisco di ogni loro successo, mi arrabbio e, se necessario, combatto se vengono ingiustamente attaccati e offesi. Per la prima volta stasera li vedrò dal vivo, ma tengo le mie emozioni ben chiuse dentro di me, infatti solo per amore filiale mi sta accompagnando mio figlio, lui non è un loro ammiratore, anzi appartiene alla categoria di coloro che li deridono senza conoscerli.

Arriviamo verso le nove, faccio appena in tempo a notare alcune signore che si abbracciano freneticamente e penso, sorridendo, che sicuramente si tratta di amiche Facebook che finalmente si sono conosciute in carne ed ossa! l’unica persona che riconosco è il manager Torpedine che sulle gradinate a lato del palcoscenico passeggia nervosamente. Ed ecco accendersi le luci sul palcoscenico, l’orchestra, il direttore e poi…loro, eccoli, stranamente resto fredda, sono come li ho visti un milione di volte su Youtube, alla TV, in DVD, essere ora a pochi metri di distanza non mi trasmette alcuna emozione particolare.

Aspetto. E aprono bocca: è il “Nessun dorma” di Puccini, ed improvvisamente tutto cambia, è una specie di miracolo. Sono scesi gli angeli dal cielo a cantare, in questa fredda serata veronese, le loro voci, per quanto superbe possano essere in registrazione, dal vivo sono tutta un’altra storia, il volume di voce e di armonia che ti investe e ti schiaccia ha dell’inverosimile! Prima la voce di Gian, calda e sinuosa, ti avvolge e ti irretisce in morbide spire di velluto, quasi desideri di non riuscire a districartene più tanto ti ammalia, è semplicemente perfetto nei toni, nei passaggi, nei giri armonici; poi entra Ignazio con quella voce allo stesso tempo irruente e vigorosa, ma anche commossa e appassionata, che ti prende per mano e ti trasporta per prati in fiore, acque cristalline e cieli azzurri, una voce che in alcuni passaggi si carica talmente di passione da essere capace di scatenare le emozioni dal più profondo, i desideri più nascosti, una commozione ancestrale che mai avresti pensato di poter provare.

Infine arriva a chiudere il cerchio lui, Piero. Caro Piero, a te devo delle scuse, mi cospargo il capo di cenere e provo rammarico per tutte le volte che nei miei commenti ho scritto che la tua voce, pur essendo bellissima e potente, non riusciva ad esercitare su di me nè la seduzione della voce di Gian, nè la passione della voce di Ignazio. Quando hai iniziato la tua parte, sono rimasta letteralmente annichilita, una voce così piena, con una tale possanza armonica, un timbro così magnificamente profondo proprio non me l’ aspettavo: la tua voce faceva rimbombare l’ Arena carica di secoli e io con la fantasia vedevo i gladiatori smettere di combattere e i leoni zittirsi per ascoltare!

Allora ho girato lo sguardo verso mio figlio e non credevo ai miei occhi: aveva un’espressione stralunata, sbalordita, mi guardava come per dire: “ma come è possibile?” e ho realizzato che i muri erano caduti, che il Volo aveva vinto un’ altra battaglia! Il tributo del pubblico è travolgente, applausi e ovazioni si susseguiranno senza contarli fino alla fine, in Arena la “notte magica” diventa ancora più magica, in pochi altri posti al mondo lo spettacolo è duplice, uno si svolge sul palcoscenico, l’altro sugli spalti: il colpo d’occhio sulla conca piena fino all’inverosimile è di quelli che non si dimenticano e i due spettacoli si fondono insieme fino quasi a farti sentire smarrito.

Il concerto continua senza un attimo di cedimento, senza che vi sia mai, da parte dei tre ragazzi, un calo di resa, un appannamento di voce: e così sfilano tutte le arie che già tante volte abbiamo apprezzato, a tre voci, a due , gli assolo. Un pò mi è spiaciuto che, rispetto Firenze, sia mancata “Mamma”, così tenera, ma evidentemente qualche taglio si è reso necessario per far posto a quelli che alla fine sono stati i brani più commoventi della serata: una splendida “Caruso” di cui i ragazzi rendono un’interpetazione che, ne sono sicura, sarebbe stata applaudita dallo stesso grande Lucio, e l’incomparabile “Ave Maria, mater misericordiae”, che Gian, Ignazio e Piero eseguono in maniera talmente ispirata da trasformarla in un’immensa preghiera corale, capace di toccare il cuore di chiunque, credente o non credente che sia. Verso la fine del concerto riflettevo a quanta strada hanno fatto i ragazzi dal concerto di Firenze ad oggi, il loro miglioramento è palpabile, emanano sicurezza, forza, padronanza di testo e note: la loro musica compie il miracolo di trasportarti, mentre li ascolti, su un’isola felice, una specie di isola dei beati dove vige solo la legge dell’amore e le sue espressioni sono il bello e il buono.

Le loro voci, in questo periodo, sono in assoluto le più belle che abbiamo in Italia e mi sento fiera al pensiero che tra pochi giorni porteranno a rifulgere il nome italiano in quell’ esclusivo tempio della musica che è il Royal Albert Hall di Londra. Il concerto è alla sua ultima esecuzione e, mentre i ragazzi , felici, si abbandonano in mezzo al tripudio generale ad un finale matto e festoso con il loro “Grande amore”, io, che sento l’ostilità di mio figlio ormai dissolta e anzi diventata complicità, faccio un gesto da ragazzina, mi alzo e tento di andare sotto al palco, ma una severa bodyguard mi blocca, ed allora non mi resta che alzare gli occhi al cielo di Verona, quel cielo che stasera doveva travolgerci tutti con tuoni e fulmini, e che invece si è trapunto di stelle, perché ha sentito il dovere di adeguarsi alla magia e all’incanto di una notte come questa.

E mentre abbandoniamo l’ Arena, gli echi delle ultime note si spengono nell’aria, ma non nei nostri cuori dove resteranno a lungo, per conservare gli effetti magici della musica alata che stasera ci è stata donata.

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