Gli spaghetti non furono importati in Italia da Marco Polo, come si pensava: erano già prodotti a Palermo nel 1154. E il sugo di pomodoro è stato inventato solo nell'800 dagli ambulanti di Napoli.
Ancora oggi alcuni stranieri ci chiamano (con un po' di disprezzo) "maccaroni". Ma non sono i soli ad associarci alla pasta. Quando un noto settimanale tedesco, negli anni '70, ha voluto dedicare una copertina alla violenza in Italia ha scelto, come immagine, un piatto di spaghetti con sopra una pistola. Salvo per lanciare qualche settimana fa una campagna per "spaghettizzare" la Germania quando un'indagine ha dimostrato che gli italiani sono stati il popolo europeo che più ha mantenuto intatte, dal dopoguerra in poi e di fronte al dominio culturale del modello americano, le sue caratteristiche e la sua cultura.
La pasta è insomma, all'estero, il nostro simbolo nazionale; più ancora della Ferrari, del sole, della mafia e della stessa pizza (che molti americani considerano nata negli Stati Uniti). E come dubitarne? Anche se con il successo mondiale della cosiddetta dieta mediterranea, la pasta si è ormai diffusa ovunque (la metà della produzione italiana viene esportata), gli italiani ne sono di gran lunga i consumatori più voraci: 28 kg di pasta all'anno a testa, più o meno 280 porzioni. Molto dopo di noi arrivano venezuelani (12 kjg pro capite all'anno), tunisini (11) e svizzeri (10). Ma da dove arriva la pasta? Chi l'ha inventata? Quando? I primi documenti storici riferiscono di una pasta piatta, simile alla lasagna, e risalgono ai Greci e agli Etruschi. Ma attorno alla storia della pasta si sono create spesso anche false credenze. Per esempio, non è stato Marco Polo a importare dalla Cina i primi spaghetti: già nel 1154, molto prima della sua nascita, un geografo arabo scrive che nei pressi di Palermo "si produce una pasta in forma di fili che viene esportata anche via nave in paesi musulmani e cristiani". Cade così un altro mito: il primato della produzione della pasta non è napoletano, bensì palermitano. Qui la pasta veniva prodotta e poi seccata, secondo un'usanza tipica del mondo arabo dove i nomadi del deserto avevano necessità di conservare la pasta durante gli spostamenti.
Maccheroni col cacio
Già tra il 1200 e il 1300 anche Genova produceva pasta secca in grandi quantità, mentre a Napoli il passaggio della pasta ad alimento popolare avvenne solo alla fine del 1500, quando cominciò a essere venduta nei chioschi lungo le strade e mangiata con le mani, liscia o condita con il formaggio: un'accoppiata vincente che sta all'origine del detto "come il cacio sui maccheroni". Altri, più ricchi, la consumavano in brodo, come una prelibatezza. Tant'è vero che Boccaccio, quando immagina il paese di Bengodi nel Decameron, parla di "una montagna tutta di formaggio parmigiano grattato, sopra la quale stavano genti che niuna cosa facevano che fare maccheroni e cuocergli in brodo di capponi, e poi gettavan quinci giù". L'impatto della pasta sulla vita napoletana fu così forte che la tradizione letteraria considera Pulcinella l'inventore dei maccheroni. Ma nel 1604 uscì un catalogo degli inventori "delle cose che si mangiano" di Ortensio Lando che attribuiva a una tale "Meluzza comasca" l'invenzione del maccherone. Quello che è certo è che duee italiane, Caterina e Maria de' Medici, regine di Francia tra il 1500 e il 1600, furono le artefici della diffusione della pasta nella tradizione culinaria francese. Proprio a Maria de' Medici i cuochi di corte dedicarono il "Pasticcio di tordi alla Medici": una complicata torta di maccheroni con salsa di funghi, animelle, tartufi, interiora di pollo su cui sono appoggiati tordi ripieni di fegato.
Pastasciutta? Abolitela!
Il pomodoro invece sposò gli spaghetti solo verso il 1800, quando pomodoro e basilico con un pizzico di sale diventarono il condimento scelto dai venditori all'aperto napoletani per condire i maccheroni: una novità, visto che la pizza comincerà a unire il pomodoro alla mozzarella solo verso la metà del secolo. Fu così che la pasta al pomodoro divenne il nostro amatissimo piatto nazionale.
L'unico tentativo di far sparire la pasta dalle nostre tavole fu fatto agli inizi del '900 dal poeta futurista Marinetti, che propose "l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica" accusandola di appesantire il popolo italiano e renderlo meno scattante.
(testo tratto dalla rivista Focus - dicembre 2002)
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