Piscine, biblioteche, teatri e giardini. Ecco Caracalla, dove i Romani si divertivano.
I resti degli acquedotti che con possenti arcate attraversano tanta parte della campagna romana denotano l'attenzione dedicata in antico al rifornimento idrico della città. A Roma le residenze dei cittadini benestanti erano infatti dotate di acqua corrente e di bagni privati. La maggior parte delle persone doveva però fare ricorso ai bagni pubblici, ossia agli edifici termanli, ove in ogni stagione uomini e donne potevano adeguatamente curare l'igiene del corpo e svolgere attività ginniche in ampie palestre.
Le grandi terme dei Romani si distinguevano dalle moderne strutture sportive essendo concepite per favorire non solo l'esercizio fisico ma anche gli interessi culturali di coloro che le frequentavano. Erano infatti dotate di biblioteche (di solito di una biblioteca latina e di una greca), di spazi idonei per le rappresentazioni teatrali e musicali, e di opere d'arte, al punto che divennero ben presto anche veri e propri musei pubblici di scultura e di pittura. Questo fece delle terme anche luoghi di svago e di ritrovo mondano per tutti i ceti sociali.
Le terme erano aperte nelle ore pomeridiane, tra mezzogiorno e il tramonto, mentre di mattina venivano eseguite le pulizie e le operazioni preparatorie, come il riscaldamento dell'acqua e degli ambienti. Di norma uomini e donne frequentavano i bagni separatamente, secondo turni diversi, ma questo criterio non venne sempre rispettato.
Il primo edificio termale che divenne di proprietà pubblica, per lascito testamentario, fu innalzato a Roma da Agrippa a sue spese presso il Pantheon nel 12 a.C. Nei secoli successivi ne furono costruiti molti altri, tra i quali di particolare importanza furono le Terme di Nerone o Alessandrine in Campo Marzio, le Terme di Tito e le Terme di Traiano sul Colle Oppio, le Terme di Diocleziano nel settore settentrionale della città, le Terme Costantiniane sul Quirinale. Rispetto a tutte queste, le Terme di Caracalla, costruite a ridosso del piccolo Aventino lungo il tratto iniziale della via Appia, sono seconde per dimensioni solo alle Terme di Diocleziano, e costituiscono il complesso più facilmente comprensibile e in migliore stato di conservazione.
Le terme aperte da Caracalla nel 216 d.C. divennero ben presto rinomate per la loro sontuosità e per l'ammirevole grandiosità. Si estendevano su una superficie di oltre 11 ettari, di forma quasi quadrata con i lati di circa 330 metri. Si calcola che alla loro costruzione debbano aver lavorato almeno novemila operai per cinque anni. Tra i materiali che fu necessario importare a Roma vi furono non meno di 252 colonne monolitiche di marmo, per non parlare dei pregiati marmi policromi che rivestivano le murature dell'intero complesso monumentale.
Potevano ospitare dalle seimila alle ottomila persone al giorno. Nel V secolo d.C. erano considerate una delle meraviglie di Roma. Cessarono di funzionare, dopo oltre tre secoli dalla loro apertura, nell'anno 537 d.C. durante la guerra gotica, quando venne a mancare l'acqua per la distruzione degli acquedotti ad opera dei barbari. Una derivazione dell'Aqua Marcia, fatta costruire da Caracalla nel 212 d.C., con il nome di Aqua nova Antoniniana, aveva infatti garantito il rifornimento idrico per le terme. A questo acquedotto, per l'attraversamento della via Appia, apparteneva il bellissimo monumento marmoreo detto Arco di Druso, all'interno delle Mura Aureliane dinanzi alla Porta San Sebastiano.
L'acqua proveniva alla terme nella loro parte più elevata, addossata al colle, ove si trovavano 18 cisterne che dovevano garantirne l'erogazione nei momenti di maggiore richiesta; tubature di piombo ne permettevano la distribuzione in tutto il complesso. Passaggi di servizio, di manutenzione, e per il trasporto di materiali su carri, costituivano un sistema di ampie gallerie solo in parte giá esplorate e visitabili. Gli impianti di riscaldamento, anch'essi sotterranei, richiedevano un rifornimento di 10 tonnellate di legname al giorno, mentre nei depositi sotterranei poteva esserne accumulata una riserva di almeno 2.000 tonnellate.
Un altissimo muro di recinzione, in gran parte conservato, delimitava il perimetro dell'intero edificio. Sulla sua fronte, all'esterno, vi era un'ampia terrazza sistemata a giardino che si allineava lungo la strada sottostante con una serie de botteghe, al momento solo parzialmente esplorate. All'interno del recinto vi era il complesso termale vero e proprio, addossatto al muro frontale, con pianta a simmetria assiale.
Vi si accedeva da due ampi vestiboli che si aprivano da una parte sugli spogliatoi, dall'altra sulla natatio, la piscina scoperta. Dopodiché il pubblico poteva dirigersi direttamente verso le grandi sale destinate ai bagni, oppure nelle palestre per l'attività ginnica. Poteva quindi raggiungere i laconica, ossia gli ambienti riscaldati per le sudorazioni. Le sale destinate ai bagni erano tutte allineate sui medesimo asse mediano dell'edificio: il calidarium, un'ampia sala rotonda con sette vasche per bagni caldi, il tepidarium con due vasche, il frigidarium con quattro vasche e quindi la grande natatio all'aperto. Tutti gli altri ambienti, vestiboli, spogliatoi, palestre, laconica, erano doppi e disposti simmetricamente rispetto all'asse centrale. Molti ambienti avevano un piano superiore, usato forse per i massaggi e le altre cure del corpo.
Il calidarium è in gran parte distrutto, ma le strutture monumentali rimaste sono sufficienti per farci comprendere la grandiosità dell'aula rotonda, coperta da una cupola dal diametro di circa 35 metri, che in antico era considerata una meraviglia della tecnica costruttiva perché si reggeva su strutture di bronzo e di rame.
La parte termale del complesso monumentale era quindi circondata da un giardino oltre il quale, addossati al muro di recinzione, erano tutti gli altri ambienti destinati alla conversazione, alla lettura, alla musica e alle rappresentazioni sceniche da camera molto diffuse nel corso del I e del II secolo d.C. Lungo i due lati del recinto, entro ampie esedre rigorosamente simmetriche vi era, infatti, una doppia serie di tre sale rispettivamente a pianta ottagonale, rettangolare ed ellittica. Sul lato posteriore del recinto, addossato al colle, si trovavano le due biblioteche, di cui solamente una è stata rimessa in luce con gli scavi recenti, e le grandi cisterne. Dinanzi a queste, e tra le biblioteche, vi era uno spazio aperto, lungo e stretto, di cui non è stata ancora individuata la funzione (stadio per le corse o grande cascata d'acqua?).
Tutti gli ambienti erano sontuosamente decorati, con pavimenti di marmi policromi oppure di mosaico, con rivestimenti marmorei applicati alle pareti e con marmi scolpiti nella decorazione architettonica, vasche e altri arredi. Un numero notevole di statue doveva ornare le sale e i giardini; molte di esse sono oggi sparse nei principali musei del mondo.
Nel Museo di Napoli sono conservate le due sculture più celebri, il gruppo monumentale detto del Toro Farnese, trovato verso la metà del Cinquecento nella palestra orientale, e il grande Eracle Farnese dello scultore Glykon, rinvenuto nello stesso periodo nel frigidarium. Dal medesimo ambiente provengono le due grandi vasche di granito grigio impiegate come fontane in piazza Farnese a Roma.
(testo pubblicato sulla rivista Ulisse del luglio 2001)
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