quinta-feira, 29 de agosto de 2013

L'uomo lupo - Chiara Borelli


Uno studioso é riuscito a vivere per 18 mesi in un branco di lupi in un parco britannico. A forza di ululati, ringhi e morsi è diventato capobranco. Imparando molte cose.

Ha vissuto 18 mesi da lupo, all'interno di un branco.Comportandosi come uno di loro: ululando, ringhiando, leccando, dormendo all'aperto e... mangiando carne cruda.

Non è un caso di licantropia, ma una singolare ricerca etologica, quella dello studioso britannico Shaun Ellis: ha deciso di analizzare sul campo il comportamento di un branco di lupi nel Parco di Combe Martin, nel Devon (Gb). "Solo facendo parte di una loro famiglia si possono capire i segreti dei lupi" dice Ellis. "Ho pensato che, ottenuta la loro fiducia, avrei rivoluzionato la ricerca scientifica su di loro". È ci è riuscito, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "The Wolfman" (l'uomo lupo) e diventare il protagonista del filme A man among wolves che ha documentato la sua eccezionale esperienza.

Adattarsi non è stato semplice: era vietato lavarsi, per non perdere l'odore caratteristico che consente, nel branco, di riconoscere e accettare ogni individuo.

E, per non farsi sopraffare, Ellis ha dovuto imporsi come "maschio alfa", il capobranco. In che modo? Ringhiando ferocemente, morsicando, dando dimostrazioni di aggressività controllata e mangiando i bocconi migliori di ogni preda, quelli che spettano appunto al maschio dominante: cervello, cuore, fegato, reni...ovviamente crudi.


Il fegato crudo no!

Il grado di precedenza nell'accesso al cibo è importante perché rispecchia l'ordine sociale. Questo va poi mantenuto e difeso. Gli altri possono riconoscere il minimo tentennamento e rimettere in discussione la gerarchia. Le maggior difficoltà alimentari? "Mangiare il fegato crudo" ammette Ellis. Per aiutarlo a superare l'ostacolo, il personale del Parco, prima di lasciare le carcasse al branco in carenza di prede, cuoceva il fegato e lo metteva in un contenitore all'interno dell'animale, nel punto esatto in cui è situato l'organo.

Altra sfida: la comunicazione. Il linguaggio dei lupi è complesso. È fatto di posizioni del corpo, espressioni faciali, sguardi e vocalizzi (come abbai, ringhi, ululati e guaiti). Per prima cosa Ellis ha imparato a ululare: "È come studiare una nuova lingua, lo spagnolo o il tedesco..." racconta il ricercatore.


Non parlare: ulula

Già, perché l'ululato è molto complicato: ne esistono di molti tipi, da quello difensivo (che usa toni bassi) a quello di localizzazione (con toni alti), che serve per fare sapere dove ci si trova. L'ululato serve ai lupi per comunicare sulle lunghe distanze, quando i membri del branco non sono a portata di sguardo.

Percepibile a diversi chilometri di distanza, l'ululato è anche usato fra lupi rivali per evitare conflitti. Ogni lupo ulula in modo diverso, secondo il suo stato sociale: la coppia dominante, per esempio, usa toni bassi e ululati brevi, seguiti da una pausa silenziosa per ascoltare le eventuali risposte e decidere il destino del branco: continuare la marcia o fermarsi ad aspettare gli altri?


Indiani grandi etologi

Ellis, che ha 42 anni, ha speso gran parte della sua vita studiando il comportamento dei lupi. "Il mio interesse per loro" racconta "è iniziato molto presto: sono cresciuto in una fattoria con molti cani, e preferivo passare il  tempo in loro compagnia piuttosto che con gli altri bambini. Più avanti, ho spostato la mia attenzione verso le volpi che vivevano nelle foreste intorno a casa, e il passo verso i lupi è stato breve".

Poi ha vissuto alcuni anni tra gli indiani Nez Percé, in una riserva dell'Idaho (Stati Uniti) dove, per la prima volta, si è avvicinato alla vita di un branco. Ha iniziato a registrare gli ululati, riascoltandoli pazientemente più e più volte, fino a riuscire a riconoscere ogni singolo esemplare dalla voce. "Lì ho capito che gli indiani sapevano molte più cose sui lupi rispetto a tutto quello che i ricercatori scientifici avevano scoperto. Mi sono chiesto per quale motivo e ho capito: i Nez Perché vivono a stretto contatto con questi animali, ne condividono l'ambiente".

Ora, da 7 anni, Ellis lavora nel Parco di Combe Martin, e studia i lupi che vi risiedono: ha imparato a seguirli e a conoscerli, prima di entrare "a tempo pieno" tra di loro. Poi è persino riuscito a educare 3 lupacchiotti, abbandonati dalla madre alla nascita, per farli diventare lupi come natura comanda, insegnando loro il linguaggio della specie e le regole per sopravvivere.

Tra i propositi di Ellis, c'è quello di elaborare un metodo per scoraggiare i lupi dal frequentare aree di potenziale conflitto con gli uomini, per rendere possibile una coesistenza pacifica. Anche in Italia, infatti, la persecuzione da parte dell'uomo costituisce il loro principale fattore di mortalità. Si stima che oggi nel nostro paese ce ne siano 600.


Un ritorno da disadattato

Nella comunità del lupo non è importante il singolo individuo: prevalgono il branco e la disciplina. Tutti accettano di stare al proprio posto nella gerarchia, senza sensi di colpa verso i sottomessi o rabbi per i superiori.

Ellis ha dovuto adattarsi all rigidità e alla severità richieste. Tornato fra gli uomini ha avuto qualche problema. "Con la mia famiglia, per 3-4 settimane dopo il mio ritorno ha avuto difficoltà a comunicare" ammette.

La sua esperienza ha diviso in due la comunità scientifica. Secondo alcuni si è aperta una nuova strada per l'etologia, sull'esempio dell'antropologa inglese Jane Goodal, che si fece accettare da un gruppo di scimpanzé. O dell'americana Diane Fossey che si integrò fra i gorilla. Altri ritengono che non bisogna essere troppo coinvolti emotivamente per mantenere una visione oggettiva degli animali.

Dall'esperienza, comunque, Ellis ha ricavato la convinzione che i lupi, a dispetto della loro nomea, sino animali intelligenti, equilibrati e fiduciosi. E se qualche entusiasta volesse seguire il suo esempio? "Non lo faccia" avverte. "È molto pericoloso, per chi non è preparato, camminare in mezzo a un branco e cercare di essere accettati. Un lupo non è un animale domestico".



(testo pubblicato sulla rivista Focus nº 179 - settembre 2007)








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