quarta-feira, 29 de fevereiro de 2012

La bontà dei salumi

Dagli Etruschi, che esportavano il "crudo", alle scrofe con il DNA antistress: i mille segreti dei salumi.

Grassi, puzzolenti, perennemente infangati e persino un po' stupidi. Se i maiali ve li immaginate così, siete fuori strada. O, almeno, fuori tempo. Prendete, ad esempio, BO100954, una delle 25 mila scrofe da riproduzione registrate nel libro genealogico suino, una sorta di anagrafe elettronica tenuta dall'Associazione nazionale allevatori. Mangia per lo più soia, mais e siero di latte, ha una  doccia a disposizione che può utilizzare quando le pare, e porta un sensore sotto pelle per rilevare l'eventuale insorgere di malattie.

Di lei, che fa parte di un programma genetico partito nel 1990 per migliorare la qualità dei salumi, filetti, prosciutti e costine, si sa tutto: data di nascita, alimentazione, peso, maialini partoriti (in media, 20 all'anno per 3 anni). E non è tutto: il suo DNA è privo di un particolare gene che nei maiali è portatore di stress e rende le carni pallide e poco saporite. Piccoli miracoli della genetica, certo, ma siamo in buona compagnia: in Olanda sono riusciti a creare dei suini con due costole in più, e il motivo è facile da immaginare.

Salvadanaio da tavola

Il maiale, simbolo di fortuna, abbondanza e risparmio (salvadanai), è da sempre una delle maggiori risorse alimentari dell'umanità. A Heidelberg, in Germania, gli hanno persino dedicato un museo. Da noi, forse, non ce n'è bisogno: sono ancora nella memoria di generazioni d'italiani i riti del giorno in cui con una stilettata al cuore si uccideva il maiale; per i contadini era uno dei momenti più importanti dell'anno, anche per la  tradizionale maialata, pantagruelico pranzo che aveva lo scopo di consumare le parti di più difficile conservazione.

Carni e salumi, alcuni dei quali conservati per anni, significavano energia per combattere il freddo o sopportare la fatica. "Non è un caso che fino ai primi dell '900 lardo e strutto costassero più del prosciutto e della carne" spiega Giovanni Ballarini, antropologo dell'alimentazione a Parma.

Oggi l'uccisione è meno cruenta (si preferisce tramortire l'animale con scariche elettriche o anidride carbonica e quindi abbatterlo quando è incosciente) e i ricercatori, selezionando e incrociando le migliori razze (come la Large White o la Landrace) sono riusciti a ridurre drasticamente la quantità di grasso (da 8 a 3 centimetri sotto la cotenna e dal 10 al 3% nella muscolatura). E a rendere i nostri salumi fra i più nutrienti e digeribili del mondo. "Un recente studio dell'Istituto nazionale della nutrizione" dice Francesco Ciani, direttore dell'Istituto nord-est qualità, "ha rivelato che nelle carni suine prodotte in Italia c'è in media il 30% in meno di colesterolo rispetto a quanto succedeva 20-25 anni fa. E questo perché ormai la macellazione avviene non prima dei nove mesi di età, quando l'animale ha almeno 160 chili e i grassi insaturi hanno preso il sopravvento su quelli saturi e più dannosi" (presenti in quantità superiori persino nelle carni di vitello). Aggiunge Ballarini: "E non dimentichiamo che i maiali sono ormai vegetariani, altro che onnivori".

60 milioni di cosce

Oggi vengono macellati nel nostro Paese circa 12 milioni di maiali l'anno. Salumerie e supermercati vendono qualcosa come 60 milioni di cosce (fra prosciutti cotti e crudi), 36 milioni delle quali provenienti dall'estero. Ognuno di noi mangia in media 2,75 chili di maiale al mese, ossa comprese (la Germania supera i 4). Dei 12 milioni di suini abbattuti, circa 8 milioni sono destinati ai circuiti certificati, all'interno dei quali ciascun capo è nato e cresciuto in allevamenti controllati e può essere in ogni istante rintracciato attraverso sigle e tatuaggi: sono suini che finiscono in prosciutti di San Daniele e Parma (senz'altro il più celebre del mondo), mortadella, speck dell'Alto Adige, salami di Varzi e in altre 19 specialità di origine o identificazione geografica protette.

Italianissimo prosciutto

La produzione di questi salumi è regolata da una sorta di manuale approvato dall'Unione europea ed è seguita "dalla mangiatoia al bancone di vendita" anche dagli ispettori di alcuni organismi indipendenti (fra l'altro accertano che le carni utilizzate siano rigorosamente italiane). Ad esempio, per diventare crudo Dop, le cosce devono attraversare una decina di fasi rigorosamente standardizzate. Spiega mario Cichetti, direttore del Consorzio di San Daniele: "Inizialmente le cosce vengono raffreddate e portate a una temperatura omogenea, per lavorarle più facilmente, quindi messe sotto sale per tanti giorni quanti sono i chili della coscia lavorata: durante questo periodo la carne si asciuga gradatamente (è proprio questo, d'altronde, il significato della parola prosciutto, ovvero prosciugato), per poi essere appesa in verticale, pressata per circa 48 ore, fatta riposare per 90-100 giorni, lavata e rivitalizzata con acqua a 45 gradi, asciugata e stagionata per altri 7-8 mesi". Il segreto della bontà ? "Come per il prosciutto di Parma, sulla qualità del prodotto influiscono l'esperienza dei mastri stagionatori e il microclima che, anche se in maniera diversa, caratterizza le due localitá" dice Cichetti.

Origine della mortadella

La mortadella, conosciuta in molte zone d'Italia e nel mondo come "bologna", ha una ricetta in parte segreta, ma già il suo nome (da mortaio) ne rivela l'origine: un tempo era fatta con le parti meno pregiate dell'animale, mescolate con cubetti di grasso di gola, passate al mortaio e cotte lentamente fino a gelificarne la massa. Oggi la carne viene tritata finissima ed è in genere di buona qualità. Un etto contiene meno calorie di un piatto di pasta e appena 60 mg di colesterolo (come la carne bianca).

Pane, salame e fantasia

E il salame ? "Ne esistono tante varietà quante sono le famiglie che lo producono" dice Ballarini. Ma che cos'è ? È un alimento fatto con grasso e carne di maiale tritati, fermentati e insaccati in un budello con l'aggiunta di sale e infine stagionato per qualche mese. Tutto qui ? Macché. A passeggio per l'Emilia Romagna o la Lombardia ci si può imbattere in salami conditi con aglio, uova, altre carni e persino cacao, uvetta o canditi. E che dire, poi del ciauscolo marchigiano, una sorta di Nutella di porco fatta con le parti più grassi dell'animale (60%), tritate più e più volte e mischiate a pepe, sale e vino ? O della salama ferrarese, una piccola sfera legata come un melone a sei spicchi e ripiena di lardo, lingua, spalla, stinco, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e chissà che altro ancora, cotta a fuoco lento e servita a cucchiaiate ?

La parola salame indica anche una persona sciocca. È un equivoco gastronomico: "Sciocco, infatti, significa insipido, ovvero senza sale, che invece è proprio uno degli ingredienti fondamentali" spiega Ballarini.

L'uomo con il maiale si è davvero sbizzarrito e oggi le varietà di prodotti che vi si ricavano sono pressoché infinite. Dai sanguinacci (sangue cotto, talvolta misto a farina) al prosciutto cotto, dallo speck (la coscia del maiale disossata e trattata con il fumo) alle salsicce (salame non stagionato), dalla pancetta al cotechino, fino al culatello.

Romani e cinesi

Racconta Ballarini: "Già gli antichi romani apprezzavano le salsicce di porco (dette luganighe, ovvero preparate dai Lucani) e i loro eserciti si nutrivano di prosciutto crudo, capace di conservarsi a lungo (non è un caso che l'emblema sugli scudi della X Legio emiliana fosse proprio un porco). Inoltre a Torcello, a sud di Mantova, é stato ritrovato un deposito di 70 mila frammenti ossi di suino, ma neppure un femore: risalgono all'epoca degli Etruschi, quando l'animale non si allevava ma si cacciava". Che già all'epoca i prosciutti fossero dei beni da esportare è quindi più che un sospetto.

La prima rappresentazione di un salame risale però addirittura al 1166 a.C. ed è quella ritrovata a Tebe nella tomba del faraone egiziano Ramsete III. La mortadella, dal canto suo, è nata nel I secolo d.C. in Bonomia, l'attuale Bologna. "Il primo moderno allevamento di suini di cui si ha traccia" conclude Ballarini "è invece quello della fattoria di Settefinestre, vicino a Roma (I sec. a.C.), ma già nel 700 a.C. Omero raccontò di un porcile nell'Odissea".

Anche questa volta, tuttavia, i cinesi potrebbero averci battuto: secondo alcuni studiosi, infatti, in Oriente avrebbero cominciato ad allevare porci 9 mila anni fa.



(testo scritto da Michele Scozzai e pubblicato sulla rivista Focus)




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