terça-feira, 20 de dezembro de 2011

Caino e l'uccisione di Abele

La letteratura gialla ci insegna che ogni omicidio ha sempre una vittima, un colpevole e un movente. Nel caso di Caino e Abele le indagini furono molto sommarie, perché una volta scoperta la vittima (il povero Abele) il colpevole era di certo Caino, in quanto oltre a lui sulla terra non c’era nessun altro.

Ma la letteratura gialla ci insegna anche che non sempre le cose sono come appaiono, ed ecco perché diventa importante indagare sul movente: se a quei tempi questo lavoro fosse stato fatto, la storia sarebbe stata scritta in un altro modo.

Per scoprire un movente bisogna per prima cosa scavare nel passato della vittima e del sospettato: Abele e Caino. Apparentemente i due fratelli avevano avuto un’infanzia serena: un mondo a disposizione senza nessun altro bambino che dicesse “questo è mio”, o che facesse il bullo con loro, niente scuola, niente apparecchio per i denti, perché non esistevano ancora né insegnanti né dentisti. I problemi, secondo gli storici, cominciarono con l’adolescenza, allorché i loro genitori ritennero fosse arrivato il momento di tramandare ai figli la volontà del Signore. Per cui una sera li convocarono e ripeterono loro le parole di Dio: “Ragazzi, siate fecondi e moltiplicatevi, andate a riempite la terra!”. E così detto li buttarono fuori casa.

Iniziò un periodo molto duro per i due ragazzi, costretti a cavarsela da soli. Ancora oggi per gli adolescenti è dura cavarsela da soli, senza i soldi di papà e la cucina di mamma, ma per Caino e Abele il problema era ben più grave: loro erano davvero soli sulla faccia della terra, e dovevano esaudire la volontà del Signore, e cioè da due che erano moltiplicarsi fino a diventare sei miliardi.

Siccome erano due bravi ragazzi, timorati di Dio soprattutto per i racconti che gli avevano fatto i genitori, decisero di trovare il modo di riprodursi.

All’inizio utilizzarono i metodi più ovvi e a portata di mano: infatti, visto che erano due uomini, uno agricoltore e l’altro pastore, provarono con la pecorina, ma Abele non restò incinto e a parte un forte bruciore non successe nulla.

Capirono che per procreare serviva una donna e pertanto fecero domanda in carta bollata al Ministero per ottenere una femmina, ma le pastoie della burocrazia li costrinsero a rinunciare.

Cercarono allora di bypassare la legge Bossi-Fini pur di avere una badante che venisse dai paesi dell’Est. Ma anche quel tentativo fallì.

Tentarono la strada della clonazione, ma non riuscirono a trovare in commercio nessuna fotoclonatrice e rinunciarono.

Pur di avere figli si misero in lista per adottarne uno, ma erano disponibili solo bambini verdi di altri pianeti e non se la sentirono per non farli sentire diversi.

Col passare del tempo e l’accumularsi dei fallimenti, i due cominciarono ad avere seri disturbi psicologici: Caino ebbe tre gravidanze isteriche, mentre per un lungo periodo Abele pensò di essere la mamma di un opossum.

Le frustrazioni li spinsero dapprima all’elitismo, per poi farli precipitare nel tunnel della droga. Del resto nella loro famiglia ricorrevano i problemi con la frutta: i loro genitori si erano rovinati per le mele, e loro per le pere.

E arrivò il giorno in cui il povero Abele morì di overdose e Caino, strafatto, non riuscì nemmeno a discolparsi. Quando il Signore tuonò dal cielo: “Caino, cosa hai fatto a tuo fratello?” lui biasciò solo: “Che c’hai un euro da darmi, devo andare a trovare mia nonna...”. Ma Dio capì subito che era una scusa, perché come tutti sanno Caino non aveva una nonna.

Il giorno dipo i giornali dell’epoca non ebbero il minimo dubbio sulla sua colpevolezza, e fu così che Caino passò alla storia come il primo assassino, invece che come la prima vittima di un tragico errore giudiziario.

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