L'ultima esecuzione - All'alba del 4 marzo 1947
Il caso O'Dell ha ancora una volta riportato alla ribalta il problema della pena di morte. Abolita totalmente in Italia (Storia Ilustrata rievoca qui la drammatica cronaca dell'ultima esecuzione avvenuta a Torino nel 1947 quando vennero fucilati i tre assassini della strage di Villarbasse) è ancora in vigore in molte parti del mondo e ogni anno "Amnesty International" e "Nessuno tocchi Caino" denunciano migliaia di vittime di questa ingiusta amministrazione della giustizia. La battaglia di Cesare Beccaria (1738-1794), che con la sua opera "Dei delitti e delle pene" propugnò l'abolizione della pena di morte e la necessità di una riforma della giustizia penale, è ben lontana dall'essere vinta. La stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che dovrebbe essere la sede dove prima di tutto si difendono i diritti degli uomini, ha respinto una risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali
Sono le quattro del mattino del 4 marzo del 1947, quando il procuratore della Repubblica di Torino, dottor Vacchina, seguito dal segretario delle carceri e da due frati di Sant'Antonio, i padri Ruggero e Onorato, entra nelle celle sotterranee delle Carceri Nuove. Vi sono segregati tre condannati a morte, ai quali viene annunziato che il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, ha respinto la domanda di grazia. Giovanni Puleo di Salvatore, calzolaio, Francesco La Barbera di Luigi, carrettiere, e Giovanni D'Ignoti di Antonino, pastore, attendono la notizia dal 5 luglio precedente. Sono stati condannati alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena dalla Corte d'assise ordinaria del capoluogo piemontese per avere rapinato e assassinato Gianoli Massimo, Ferrero Antonio, Varetto Anna, Morra Renato, Gastaldi Marcellino, Martinoli Rosa, Delfino Teresa, Maffiolto Florina, Doleatto Gregorio, Bosco Domenico, gettandoli ancora vivi in una cisterna nella cascina Simonetto a Villarbasse.
Tocca ai due frati di placare la tempesta d'ira dei condannati. Puleo e la Barbera pronunziano frasi d'improperio e di scherno all'indirizzo della Corte; D'Ignoti scoppia in pianto. Tutti e tre vogliono inviare parole di febbrile saluto alle famiglie lontane. D'Ignoti, analfabeta, le detta a padre Ruggero. Insieme rifiutano l'iniezione proposta dal sanitario e non vogliono indossare il pastrano. "Me lo sciuperebbero", dice Puleo. Accettano invece qualche bicchierino di liquore.
Alle 7 salgono nel furgone che li trasporta al poligono di tiro della località Basse di Stura. Alle 7 e mezzo giugne il plotone di agenti della Polizia Celer. Viene dato il permesso di restare sul luogo solo a un gruppetto di giornalisti e fotografi.
Tre sedie sono infisse nel terreno gelato. I condannati chiedono di potere ordinare il f uoco. La richiesta è respinta. Accettano di farsi fotografare in pose di sogghigno. Puleo e La Barbera si allineano di fronte ai lampi di magnesio delle macchine fotografiche e ripetutamente gridano: "Viva la Sicilia libera. Viva Finocchiaro Aprile, nostro capo". Non hanno tempo di terminare la frase né di ripeterla. Il comandante del plotone dà l'ordine di sparare. I condannati si afflosciano all'unisono sulle sedie. È questa l'ultima condanna a morte eseguita in base al codice penale ordinario in Italia.
Esattamente quarantun giorni dopo, l'Assemblea Costituente, nella sua seduta del 15 aprile 1947, approva dell'articolo 27 il comma finale: Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra". L'intero testo della Costituzione diverrà esecutivo dall'1 gennaio 1948. La pena di morte rimane solo nei codici militari di guerra fino al 18 ottobre 1994, quando il Parlamento italiano decide di abrogarla completamente.
L'itinerario di abolizione della pena di morte è stato, in Italia, fra i più rettilinei. Fu Giuseppe Zanardelli, giurista e personaggio politico della sinistra storica settentrionale, di Brescia, a preparare negli anni dal 1887 al 1891, il codice penale che rimase in vigore sino a quello fascista. La pena di morte veniva così abolita nell'Italia unita. Ma già nel 1786, ancora prima della grande rivoluzione borghese della Francia dell'89, l'aveva abolita, nel Granducato di Toscana, il lorenese Pietro Leopoldo, grande sostenitore di illuminate riforme economiche, giudiziarie ed ecclesiastiche. Fu l'epoca durante la quale "le riforme leopoldine" dotarono la Toscana di istituzioni fra le più avanzate d'Europa.
La Libreria Coltellini di Livorno aveva, intanto, pubblicato nel 1764 un saggio destinato a suscitare uno stonrico scalpore. Era intitolato "Dei delitti e delle pene" e fu un vero e proprio sistematico atto d'accusa contro i sistemi giudiziari dell'epoca. Esso si scagliava contro la carcerazione preventiva, la denunzia anonima, il dibattimento a porte chiuse e, soprattutto, contro la pena di morte. "Non è, dunque, la pena di morte, un diritto, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimosterò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità", stava scritto nella pubblicazione del Coltellini.
L'autore rimase per lungo tempo ignoto, sin quando fu rivelato che si chiamava Cesare Beccaria, nato a Milano nel 1738 dal marchese Giovanni Saverio Beccaria Bonesana ed educato nel Collegio dei nobili, diretto dai gesuiti a Pavia. Diderot, Buffon e Voltaire lo lodarono; Caterina I di Russia dispose modifiche nel diritto e nella procedura penale. In patria, Beccaria fu nominato professore delle Scuole Palatine di Milano e dal 1771 si accinse alla riforma della procedura penale.
Il fascismo non imitò né Leopoldo né Beccaria. Con leggi del 1926 e del 1930 ristabilì la pena di morte per i delitti sia politici sia comuni. Parlando alla Camera dei Deputati a favore della pena di morte, l'onorevole fascista Manaresi sostenne che "in un solo anno, la mano di un assassino si è levata contro la persona del Primo Ministro, Benito Mussolini. Quattro volte la Nazione ha tremato per il suo duce e per la sua stessa salvezza. La Patria ha diritto di difendersi e lo Stato, che della Patria è la costituzionale espressione, vuole avere dai cittadini tutte le armi che la necessità dell'ora e la gravità del pericolo richiedono". Nella stessa seduta del 9 novembreo 1926, il guardasigilli Alfredo Rocco ottenne l'immediata approvazione di tutti gli articoli destinati alla "Difesa dello Stato".
Sul piano del diritto ordinario, nel 1938, un apposito plotone giunto da Civitavecchia fucilò alla schiena due banditi sardi, i fratelli Pintore, nella località di Prato Sardo, in provincia di Nuoro. Erano accusati di avere vendicato una faida locale sequestrando e uccidendo una bambina di una famiglia avversa.
Dopo la liberazione del paese nel 1945, il discorso abolizione riprese. Ma con una doppia decisione, Umberto di Savoia, nella sua qualità di luogotenente del Regno in vece di re Vittorio Emanuele III che non aveva ancora abdicato, controfirmò il decreto-legge, appunto luogotenenziale, datato 10 agosto 1944, numero 224. Composto di due soli articoli, esso applica la pena dell'ergastolo in luogo della pena di morte. Proponente fu il guardasigilli democristiano Umberto Tupini, successore di Palmiro Togliatti, che rimase nel governo, presieduto da Ivanoe Bonomi, come vicepresidente del Consiglio assieme a De Gasperi, Croce, Saragat, Sforza e Ruini.
Il 10 maggio del 1945, il governo, ancora presieduto da Bonomi, guardasigilli Tupini, ritornò sull'argomento. Togliatti con Giulio Rodinò, democristiano, era vicepresidente. Con il decreto, sempre luogotenenziale, numero 234, reintrodussero la pena di morte, limitandola ai casi di banda armata, rapina e a casi penali particolarmente efferati. Fu in base a queste norme che vennero fucilati nel 1947 "i tre di Villarbasse", che il precedente decreto del 1944 avrebbe, invece, destinato all'ergastolo.
Il fascismo non imitò né Leopoldo né Beccaria. Con leggi del 1926 e del 1930 ristabilì la pena di morte per i delitti sia politici sia comuni. Parlando alla Camera dei Deputati a favore della pena di morte, l'onorevole fascista Manaresi sostenne che "in un solo anno, la mano di un assassino si è levata contro la persona del Primo Ministro, Benito Mussolini. Quattro volte la Nazione ha tremato per il suo duce e per la sua stessa salvezza. La Patria ha diritto di difendersi e lo Stato, che della Patria è la costituzionale espressione, vuole avere dai cittadini tutte le armi che la necessità dell'ora e la gravità del pericolo richiedono". Nella stessa seduta del 9 novembreo 1926, il guardasigilli Alfredo Rocco ottenne l'immediata approvazione di tutti gli articoli destinati alla "Difesa dello Stato".
Sul piano del diritto ordinario, nel 1938, un apposito plotone giunto da Civitavecchia fucilò alla schiena due banditi sardi, i fratelli Pintore, nella località di Prato Sardo, in provincia di Nuoro. Erano accusati di avere vendicato una faida locale sequestrando e uccidendo una bambina di una famiglia avversa.
Dopo la liberazione del paese nel 1945, il discorso abolizione riprese. Ma con una doppia decisione, Umberto di Savoia, nella sua qualità di luogotenente del Regno in vece di re Vittorio Emanuele III che non aveva ancora abdicato, controfirmò il decreto-legge, appunto luogotenenziale, datato 10 agosto 1944, numero 224. Composto di due soli articoli, esso applica la pena dell'ergastolo in luogo della pena di morte. Proponente fu il guardasigilli democristiano Umberto Tupini, successore di Palmiro Togliatti, che rimase nel governo, presieduto da Ivanoe Bonomi, come vicepresidente del Consiglio assieme a De Gasperi, Croce, Saragat, Sforza e Ruini.
Il 10 maggio del 1945, il governo, ancora presieduto da Bonomi, guardasigilli Tupini, ritornò sull'argomento. Togliatti con Giulio Rodinò, democristiano, era vicepresidente. Con il decreto, sempre luogotenenziale, numero 234, reintrodussero la pena di morte, limitandola ai casi di banda armata, rapina e a casi penali particolarmente efferati. Fu in base a queste norme che vennero fucilati nel 1947 "i tre di Villarbasse", che il precedente decreto del 1944 avrebbe, invece, destinato all'ergastolo.
Dal 1948, l'Italia, dunque, fa parte delle nazioni nella cui legislazione non è prevista la pena di morte. Recenti iniziative hanno anche sostenuto la necessità di abolire l'ergastolo. Per ora, l'Italia è collocata in quella parte che corrisponde a più della metà del mondo nella quale la pena di morte è abolita sia di diritto sia de facto.
Nel 1994 il governo italiano ha presentato, assieme ad altri, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. Solo 8 voti ne hanno impedito l'approvazione.
La situazione mondiale resta, quindi, inquietante. Il Consiglio d'Europa condiziona l'ingresso dei Paesi dell'Este all'adozione di una moratoria e all'abolizione della pena di morte. In base a questi impegni, paesi come la Moldavia ex sovietica e la Macedonia, ex Iugoslavia, sono giunti ad abolire la pena capitale. Informazioni assai gravi sono giunte durante la Conferenza sulla pena di morte svoltasi a Mosca, di recente, il 14 e 15 novembre 1996. Il presidente della Commissione per la grazia della Federazione russa, Igor Prijtavkin ha reso noto che dopo l'ingresso della Russia nel Consiglio d'Europa (febbraio 1966) vi sono state nel suo paese 50 esecuzioni capitali. In Ucraina più di 100.
"Memorial". l'associazione russa per i diritti umani, è impegnata a realizzare un convegno internazionale sull'abolizione della pena capitale nelle repubbliche della Confederazione Russa. A Ginevra, nella primavera prossima, verrà ripresentata una moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Sinora, nella tragia graduatoria delle condanne a morte eseguite nel mondo durante il 1995, il primato appartiene alla Cina con 1313 esecuzioni riferite al primo semestre, seguita da Arabia Saudita (192), dalla Nigeria (95), dall'Iraq (72), dagli Stati Uniti d'America (56). Il dibattito sull'efficacia deterrente della pena capitale offre tuttora un ventaglio di posizioni.
La pena di morte nasce, è vero, con l'istituzione stessa della società e, infatti, è prevista in tutti i codici delle civiltà antiche, compreso quello biblico che la prevede per l'omicidio premeditato, il rapimento, la vendita di persone, il delitto di stregoneria, per la violenza del diritto sabbatico, per i sacrifici umani, per l'adultero e l'incesto, per l'idolatria.
É solo con le civiltà moderne che l'abolizione della pena di morte viene considerata e condannata in quanto violazione del diritto inalienabile alla vita. Senza entrare nel merito assai articolato delle varie posizioni sull'argomento, che anche in Italia registrano pro e contro, vanno ricordati alcuni elementi di riflessione.
Nessuno ha mai dimostrato in misura convincente che la pena di morte sia servita a far diminuire la criminalità. È avvenuto, invece, che l'aumento delle esecuzioni ha incrementato, in parallelo, la violenza nella società. Inoltre la pena di morte è l'unica pena irreversibile e la giustizia umana è fallibile: gli errori giudiziari sono irrimediabili in caso di esecuzioni capitali. Le organizzazioni abolizioniste della pena di morte contestano, infine, l'esito di referendum popolari dai quali uscirebbe preferita l'esecuzione capitale, negli Stati Uniti sia in Gran Bretagna risulta che alla domanda "Sei favorevole alla pena di morte?" circa l'80 per cento risponde positivamente. Ma se si pone l'alternativa tra pena di morte ed ergastolo, solo il 30 per cento, ossia una minoranza, è favorevole alla pena di morte.
Il recente caso riguardante il detenuto americano Joseph O'Dell, condannato a morte in Virginia per stupro e assassinio, la cui esecuzione è stata sospesa all'ultimo momento nel dicembre 1996, richiede una ulteriore riflessione. L'appello venuto dall'Italia e soprattutto dal Papa ha influito grandemente nel rinvio.
Ma sarebbe del tutto infondato concludere che l'opinione pubblica americana abbia cambiato parere. La maggioranza americana resta favorevole all'uso della sedia elettrica e alle iniezioni letali. Un simile dato, proveniente da una comunità federale di così vasta civiltà e diseguale composizione, non può essere sottovalutato.
Né qualcuno può consolarsi cantando vittoria dopo l'intervento, finora fortunato, a favore del condannato in Virginia. La questione della pena di morte può essere risolta in un solo modo: accettando le ragioni etico-sociali di Cesare Beccaria. Non vi sono scorciatoie.
Nel 1994 il governo italiano ha presentato, assieme ad altri, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. Solo 8 voti ne hanno impedito l'approvazione.
La situazione mondiale resta, quindi, inquietante. Il Consiglio d'Europa condiziona l'ingresso dei Paesi dell'Este all'adozione di una moratoria e all'abolizione della pena di morte. In base a questi impegni, paesi come la Moldavia ex sovietica e la Macedonia, ex Iugoslavia, sono giunti ad abolire la pena capitale. Informazioni assai gravi sono giunte durante la Conferenza sulla pena di morte svoltasi a Mosca, di recente, il 14 e 15 novembre 1996. Il presidente della Commissione per la grazia della Federazione russa, Igor Prijtavkin ha reso noto che dopo l'ingresso della Russia nel Consiglio d'Europa (febbraio 1966) vi sono state nel suo paese 50 esecuzioni capitali. In Ucraina più di 100.
"Memorial". l'associazione russa per i diritti umani, è impegnata a realizzare un convegno internazionale sull'abolizione della pena capitale nelle repubbliche della Confederazione Russa. A Ginevra, nella primavera prossima, verrà ripresentata una moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Sinora, nella tragia graduatoria delle condanne a morte eseguite nel mondo durante il 1995, il primato appartiene alla Cina con 1313 esecuzioni riferite al primo semestre, seguita da Arabia Saudita (192), dalla Nigeria (95), dall'Iraq (72), dagli Stati Uniti d'America (56). Il dibattito sull'efficacia deterrente della pena capitale offre tuttora un ventaglio di posizioni.
La pena di morte nasce, è vero, con l'istituzione stessa della società e, infatti, è prevista in tutti i codici delle civiltà antiche, compreso quello biblico che la prevede per l'omicidio premeditato, il rapimento, la vendita di persone, il delitto di stregoneria, per la violenza del diritto sabbatico, per i sacrifici umani, per l'adultero e l'incesto, per l'idolatria.
É solo con le civiltà moderne che l'abolizione della pena di morte viene considerata e condannata in quanto violazione del diritto inalienabile alla vita. Senza entrare nel merito assai articolato delle varie posizioni sull'argomento, che anche in Italia registrano pro e contro, vanno ricordati alcuni elementi di riflessione.
Nessuno ha mai dimostrato in misura convincente che la pena di morte sia servita a far diminuire la criminalità. È avvenuto, invece, che l'aumento delle esecuzioni ha incrementato, in parallelo, la violenza nella società. Inoltre la pena di morte è l'unica pena irreversibile e la giustizia umana è fallibile: gli errori giudiziari sono irrimediabili in caso di esecuzioni capitali. Le organizzazioni abolizioniste della pena di morte contestano, infine, l'esito di referendum popolari dai quali uscirebbe preferita l'esecuzione capitale, negli Stati Uniti sia in Gran Bretagna risulta che alla domanda "Sei favorevole alla pena di morte?" circa l'80 per cento risponde positivamente. Ma se si pone l'alternativa tra pena di morte ed ergastolo, solo il 30 per cento, ossia una minoranza, è favorevole alla pena di morte.
Il recente caso riguardante il detenuto americano Joseph O'Dell, condannato a morte in Virginia per stupro e assassinio, la cui esecuzione è stata sospesa all'ultimo momento nel dicembre 1996, richiede una ulteriore riflessione. L'appello venuto dall'Italia e soprattutto dal Papa ha influito grandemente nel rinvio.
Ma sarebbe del tutto infondato concludere che l'opinione pubblica americana abbia cambiato parere. La maggioranza americana resta favorevole all'uso della sedia elettrica e alle iniezioni letali. Un simile dato, proveniente da una comunità federale di così vasta civiltà e diseguale composizione, non può essere sottovalutato.
Né qualcuno può consolarsi cantando vittoria dopo l'intervento, finora fortunato, a favore del condannato in Virginia. La questione della pena di morte può essere risolta in un solo modo: accettando le ragioni etico-sociali di Cesare Beccaria. Non vi sono scorciatoie.
(testo pubblicato sulla rivista Storia Illustrata nº 2- febbraio 1997)
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